IMPRINTING _ IL LUOGO DELLA MEMORIA
LIBERTÀ e SOLITUDINE
Fermandomi a riflettere quale sia stato
il Mio luogo dell'Imprinting, mi sono resa conto che, a mio semplice parere,
non è facile definire un posto che ci identifichi in tutto. Siamo fatti di
mille sfaccettature che cambiano a seconda dell'umore, del periodo e di milioni
di altre situazioni o cose, che ci condizionano di continuo.
Alla fine comunque sia ho scelto il mio luogo/posto
dell'impressione! Per ricordarmelo meglio sono
voluta ritornarci proprio in questi giorni mentre pensavo come potervelo descrivervelo
al meglio.
Non ha un nome proprio, viene chiamato
dai miei nonni materni "Casa Camilli", per definirla quasi in modo
rispettoso, ora vi spiego perché... Si tratta della vecchia casa dove è cresciuta
la mamma di mio papà, ovvero mia nonna, una semplice casa di campagna, con un
campo e un piccolo vitigno, collocata nell'entroterra marchigiano, nello
specifico nelle campagne di Jesi. Una casa dove da moltissimi anni non vive più
nessuno (nessuna persona, animali quanti ne volete), da parecchi anni a prendersene
cura, soprattutto della vigna e dell'orto,
sono i miei nonni materni che vivono in un paesino li vicino.
E' un posto pieno di storia propria, è
li da molti anni e non è mai cambiata in tutto questo tempo, ed è un posto che
la storia la vissuta veramente sulla propria "pelle", e non per modo
di dire, sulla sua pelle, sulle sue pareti vi sono i segni della guerra, vi
sono i segni dei proiettili e il passaggio dei teschi che per un periodo ci
hanno soggiornato.
Il mio ricordo va a quando ero piccola
quando con mio fratello ci trasferivamo dai nonni nelle marche, il nostro svago
dalla città era venire proprio in questa casa, dove eravamo "liberi di
fare quello che volevamo".
Capivamo di essere arrivati quando dalla
semplice strada asfaltata giravamo a destra in una stradina bianca con una
forte pendenza che correva parallela a un campo di grano.
La casa era li proprio sulla destra
quasi arrivati in cima alla salita. Un piccolo spiazzo per parcheggiare la
macchina e per aspettare che nuvola di la polvere bianca alzata dalle ruote si
abbassasse, per poi essere liberi di
correre dove volevamo.
Mio fratello era il primo ad andare
nella "casa del trattore", suo grande amore infantile, un edifico in
blocchetti grezzi squadrato che si trovava alla fine di un vialetto rettilineo
cementato, con sopra pergolato dal quale
pendevano i grappoli di uva, quasi pronti in vista di settembre, per la
vendemmia. Come un terrazzamento al di sotto di questo vi era il pollaio e poco
più in là l'orto con i solchi paralleli della terra pronti per ospitare nuove
piantine.
La casa era, ed è, un posto molto tetro,
essendo abbandonata, infatti preferivamo stare all'aperto. Si sviluppa su due
livelli; nel primo vi era il garage e la cantina dove l'odore di vino, presente
nelle grandi botti di legno, mi faceva ubriacare senza berlo.
Le scale per
salire al piano superiore avevano gradini alti fatti da mio nonno, dopo che il
terremoto del '97 li aveva fatti crollare; per le loro dimensioni mi ricordo
che con mio fratello li salivamo a quattro zampe, gattonando.
Sopra vi erano le
stanze da letto, un piccolo soggiorno e il regno di mia nonna la cucina; proprio
li dietro la porta vi era un calendario "semi-automatico" della Yomo,
sempre fermo alla stessa data.
Nel retro della casa vi era la piccola
vigna, sei filari paralleli lunghissimi,
per me correvano fino all'infinito,
seguivano l'andamento del terreno irregolare e in pendenza, da lontano
sembravano essere poggiati sulle onde del mare.
I colori, gli odori e tutte le emozioni
che si trovano in quel posto sono fissi nei ricordi che ho solo di li.
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